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I GIORNI DI ORIENTOCCIDENTE a colloquio con Giampiero Bigazzi, l’ideatore del festival
I mutamenti ci sono stati, ma abbiamo mantenuto una formula di fondo che finora è risultata di successo. Un festival itinerante, tanti eventi, legati al territorio dove si svolgono. Musica, ma anche teatro, poesia, cinema. Per esempio la rassegna di film in pellicola “La nostra memoria inquieta” che facciamo a San Giovanni Valdarno (quest’anno dedicata a Woody Allen), è risultata un “inserimento” vincente. Rimane poi l’idea di svolgere anche un ruolo di scoperta di artisti sconosciuti al grande pubblico. E poi abbiamo mantenuto il principio della “produzione” di eventi speciali e di performance create apposta per il festival. Il cambiamento più duro è la riduzione delle risorse… Orientoccidente è un festival che si regge sui contributi pubblici e su alcuni sponsor diciamo “sociali” (ed è per questo che testardamente e in contro tendenza abbiamo sempre voluto mantenere l’ingresso gratuito). I budget spesso non sono adeguati alle aspettative che si vorrebbe mettere in campo.
Un’impostazione che c’è sempre stata. Noi siamo un laboratorio musicale e teatrale che lavora tutto l’anno e quindi viene naturale offrire agli artisti un’opportunità nel nostro festival. Non parlerei di “identità”, ma devo dire che abbiamo sempre più questa configurazione “glocal”, cioè sentimenti globali (e diffusione spesso planetaria), ma con i piedi ben piantati nel posto dove viviamo e operiamo. Che resta comunque un bel luogo dove vivere. Quindi molti musicisti toscani: tutto il giro intorno a Baro Drom Orkestar (con Barrio Porteño, Mescaria e Balkan Tir), Letizia Fuochi, Francesco Cusumano, Pindarico, Giuditta Scorcelletti, Maurizio Geri, Enrico Fink, Andrea Kaemmerle, Michele Marini, Marco Noferi, Simone Baldini Tosi e ovviamente Arlo Bigazzi, Chiara Cappelli, Orio Odori. Per non dire dei due spettacoli, diretti da Girolamo Calcara, che hanno rievocato gli eccidi nazifascisti del luglio 1944 a Meleto e a Castelnuovo dei Sabbioni.